L'affermazione di Matteo Renzi è un caso unico in Europa.
Nessun governo di un paese imperialista della UE è riuscito a mantenere e tanto
più ad ampliare la propria base di consenso in questi anni di crisi. I
risultati elettorali in Francia, Spagna, Gran Bretagna, sono emblematici. Si
tratta allora di approssimare un primo inquadramento dell'eccezione italiana.
Ripromettendoci naturalmente uno studio più accurato dei dati nei prossimi
giorni. IL SUCCESSO DI UN POPULISMO DI
GOVERNO Renzi ha catalizzato attorno a
sé, sommandole l'una sull'altra, ragioni e istanze molto diverse e
contraddittorie tra loro. Chiunque isoli questo o quell'altro fattore coma LA
ragione del suo successo finisce col non comprendere la sua complessità. Matteo Renzi ha incassato la televendita
delle 80 euro, messe a carico di chi le riceve ma presentate come l'inizio
della svolta; ha messo a frutto il profilo di giovane “rottamatore” della
“vecchia politica”; ha capitalizzato l'immagine di diga “ democratica”
antigrillina, sospinta paradossalmente proprio dall'escalation reazionaria di
Grillo; ha incassato il ruolo di garante della governabilità europeista,
prosciugando il bacino elettorale del montismo, e parallelamente del
“cambiamento dell'Europa” ( “Europa cambia verso”);
ha operato uno sfondamento
nel vecchio blocco sociale del centrodestra in crisi, in particolare al Nord,
sfruttando a proprio vantaggio lo sdoganamento ottenuto, in forme diverse, da
Berlusconi e Alfano. Il 40% è la
risultante di questa sommatoria. Proprio per questo non è SOLO la “vittoria
italiana in controtendenza della governabilità sul populismo”, come si sono
affrettati a commentare i giornali borghesi tricolori. E' ANCHE, in misura
determinante, il suo opposto: l'utilizzo (cinico) del populismo ai fini della
governabilità borghese. L'operazione 80 euro è un tassello decisivo della
vittoria renzista. L'eccezionalità del successo elettorale di Renzi in Europa
sta in questo: è l'unico capo di governo di un paese imperialista della UE ad
aver incorporato il populismo liberale come fattore di contenimento del
populismo reazionario e della sua ascesa. E' il successo elettorale di un
metodo bonapartista, inseparabile dalla figura personale del piccolo (
aspirante) Bonaparte. Non ha vinto il governo, né il PD, se non di riflesso. Ha
vinto Renzi. Ha vinto la sua scalata fulminante ai vertici prima del PD e poi
del governo. L'audace defenestrazione di Letta ha conseguito nelle urne il
risultato atteso. Con viva soddisfazione di Renzi e della borghesia italiana.
Che ora sogna un orizzonte di stabilità politica. Il successo elettorale dà oggi a Renzi una
forza politica superiore. Sul versante dei rapporti di forza parlamentari nella
maggioranza di governo ( con un NCD ridimensionato, e una Scelta Civica
scomparsa); nelle relazioni interne al PD, a fronte di una “sinistra interna”
prima emarginata ed oggi annientata; nelle relazioni istituzionali con un
Berlusconi in crisi profonda di ruolo e di futuro; infine sul terreno
dell'offensiva sociale contro la classe operaia: dove lo sfondamento realizzato
nella precarizzazione selvaggia del lavoro proseguirà lungo la linea tracciata,
combinandosi col nuovo fronte annunciato e minaccioso contro il pubblico
impiego. L'euforia post elettorale della
Borsa italiana, e l'incoraggiamento pubblico di Confindustria, spingono in
questa direzione, con un carico di nuova fiducia. Il Presidente del Consiglio
poche ore fa ha raccolto il messaggio annunciando, in conferenza stampa,
l'”avanti tutta”, “senza più alibi e resistenze”. Il decollo è riuscito. Ora si apre per Renzi
una nuova stagione. LA RESPONSABILITA'
DELLE DIREZIONI DEL MOVIMENTO OPERAIO Le direzioni politiche e sindacali della
sinistra italiana portano una responsabilità decisiva per la piega degli
avvenimenti politici. Se milioni di lavoratori e lavoratrici hanno abboccato
alla truffa delle 80 euro , è anche e soprattutto in reazione alle politiche di
lacrime e sangue dei governi precedenti, che le sinistre hanno concertato ( con
Prodi) o avallato ( con Monti e Letta). Le stesse politiche che in questi anni
hanno aperto il varco al grillismo nella classe operaia, spianano oggi la
strada alla vittoria di Renzi.. .contro Grillo. Nell'immediato pesa come un
macigno la passività dei sindacati di massa di fronte a Renzi. Lo spettacolo è
avvilente. La burocrazia CGIL è totalmente paralizzata dal cambio della guardia
nel PD e dal patto antioperaio siglato con Confindustria, CISL e UIL: per cui
rinuncia ad ogni iniziativa di massa, al di là delle “critiche” platoniche,
persino nel momento in cui Renzi la schiaffeggia ed umilia. Landini e i vertici
Fiom proseguono una spericolata relazione di amorosi sensi con Matteo Renzi in
esclusiva funzione anti Camusso: e per questo rinunciano a qualunque iniziativa
di lotta contro il governo persino di fronte alla eternalizzazione dei
contratti a termine e alla proposta iper reazionaria di riforma elettorale e
istituzionale. Insomma, tutte le principali direzioni del movimento operaio
concorrono ad asfaltare la via del renzismo e della sua seduzione truffaldina
presso i lavoratori. Non solo. Concorrono
a tenere in piedi il blocco politico classicamente reazionario. L'ascesa di Renzi certo rappresenta un
fattore di crisi di questo blocco, e comunque di suo contenimento o disarticolazione.
Ma attenzione. Il centrodestra, pur
scompaginato e minato politicamente dalla crisi del collante berlusconiano,
conserva una base sociale consistente ( la somma di FI e NCD non si discosta
significativamente dal risultato del PDL alle ultime politiche). Il M5S conosce una brusca battuta d'arresto,
contro le previsioni e ambizioni dei suoi capi, ed è esposto al rischio di
fibrillazioni interne e ad incognite di prospettiva; ma resta tuttora dotato di
una forte capacità d'attrazione presso milioni di proletari ( operai, precari,
disoccupati..) privi di riferimenti e difesa sociale, e per questo alla ricerca
di salvatori della Patria. Le sue potenzialità di rilancio non sono affatto
compromesse. Infine i disastri compiuti
dalle sinistre politiche e sindacali hanno consentito un insperato spazio di
recupero alla Lega più xenofoba e reazionaria di sempre: che ha risolto la
propria crisi di direzione ( Salvini) e usa non a caso la campagna contro le
“leggi Fornero” come arma di riscatto della propria immagine e di penetrazione
nelle fabbriche. Complessivamente, dopo
sette anni della più grande crisi sociale del dopoguerra, grazie alla
complicità o alla passività delle sinistre, le classi dominanti volgono
paradossalmente a proprio vantaggio la propria crisi di consenso . Con la
vittoria straordinaria di Matteo Renzi , il progetto di soluzione borghese
della crisi della seconda Repubblica fa sicuramente un passo avanti. IL QUORUM
DI TSIPRAS Il sottile quorum della lista
Tsipras testimonia la sopravvivenza di una (positiva) domanda di rappresentanza
a sinistra, nel deserto prodotto dai suoi gruppi dirigenti e dal loro
fallimento. E' una domanda per cui portiamo rispetto e atrenzione. Ma quella
domanda non può trovare alcuna risposta reale, in termini di classe, nella
lista Tsipras . Nè nei salotti intellettuali liberal progressisti che hanno
promosso la lista, né nelle sinistre che si sono subordinate ad essi. La fretta
con cui Nichi Vendola ha oggi annunciato la volontà della lista di ricercare il
dialogo con Schulz è emblematica. L'intera operazione Tsipras in Europa agisce
in una logica di pressione sul PSE, nella prospettiva di un' alleanza col PSE.
Tanto più è vero in Italia, dove è importante il peso di SEL, che certo non
abbandona la prospettiva di blocco col PD ( con cui peraltro SEL e PRC si sono
alleate ovunque possibile nelle amministrative). Inoltre la linea di Sel
convive all'interno della lista con la rivendicazione pubblica dell'alleanza
politica con il M5S anche in sede europea ( vedi articoli e interviste di
Spinelli a Mattei), fuori da qualsiasi discrimine di classe e persino
democratico. E' la logica di una lista civica, il cui futuro sarà la variabile
dipendente degli accordi di ceto politico tra i soci contraenti: ma che certo
non ha e non può avere nel proprio codice la costruzione di un futuro per il movimento
operaio. Cui è costitutivamente estranea.
PER UN'INIZIATIVA UNITARIA INDIPENDENTE DEL MOVIMENTO OPERAIO. CONTRO IL RENZISMO, PER UN'ALTERNATIVA DEI
LAVORATORI. Ma questo è esattamente il
punto. Il movimento operaio è oggi il grande assente dello scenario politico
italiano, proprio nel momento in cui solo esso può capovolgere la piega degli
avvenimenti . Non c'è soluzione progressiva della crisi della Repubblica, sullo
sfondo della crisi capitalista, se la classe operaia non irrompe sulla scena
politica. L'avanzata clamorosa del renzismo è una conferma clamorosa di questa
verità. Come lo è stato e lo è il fenomeno grillino. L'alternativa tra
rivoluzione e reazione è riproposta dall'intero scenario politico, nazionale ed
europeo. Solo un'azione di massa della classe operaia che unifichi le proprie
lotte e si ponga alla testa di milioni di sfruttati, può rovesciare i rapporti
di forza, frantumare lo specchio degli inganni populisti, spezzare il nuovo
bipolarismo Renzi /Grillo, scomporre il blocco sociale reazionario, aprire dal
basso uno scenario nuovo. Fuori da questa prospettiva, la borghesia risolverà
prima o poi , in un modo o nell'altro, la propria crisi politica contro i
lavoratori . Renzi ha il vento in poppa.
Ma il vento in poppa non risolve le incognite della rotta. Il piccolo Bonaparte
ha fatto con successo il primo giro di boa. Ma la navigazione non si annuncia
tranquilla. Non sarà semplice continuare a nutrire il proprio richiamo
populista con concessioni sociali, più o meno truccate. Renzi ha buttato sul
piatto della bilancia elettorale 10 miliardi di sgravio Irpef ( le 80 euro)
senza disporre di coperture per il 2015, con un'audacia avventurosa
proporzionale alle sue ambizioni. E per di più ha promesso nuove offerte a
pensionati, incapienti.. . Di certo cercherà di far pesare in sede UE il
proprio successo politico per negoziare uno spazio di manovra più ampio in
Italia. Ma il quadro europeo resta ancora pesantemente gravato dalla
stagnazione capitalista , contro le facili illusioni di una ripresa economica
lineare. Il montare dei nazionalismi populisti, all'interno degli stessi paesi
imperialisti ( Francia, Gran Bretagna, la stessa Germania) complica le
relazioni negoziali. Mentre la Confindustria italiana batte cassa, e tutti i
poteri che si sono raccolti attorno a Renzi, vogliono oggi beneficiare della
sua fortuna. I fuochi artificiali delle promesse per tutti non sono infiniti.
L'affannoso rilancio populista dei primi 80 giorni non è replicabile sino al
2018. Certo il 40% dei voti è una enormità, paragonabile solo, come è stato
osservato,alla DC degli anni 50. Ma il piccolo particolare è che la DC
viaggiava sul treno del grande boom capitalista, disponeva risorse pubbliche
generose, poteva foraggiare un blocco sociale clientelare relativamente stabile
e molto vasto, e infine godeva di una solida rendita politica di posizione,
interna e internazionale. Nessuno di quei fattori è oggi disponibile per Renzi,
nel quadro della grande crisi capitalista internazionale, della drammatica
crisi europea, della crisi politica e istituzionale italiana. Il suo blocco
sociale di riferimento è molto più fragile di quello della DC. E così il suo
40%. Il renzismo non è ancora dunque un
regime consolidato, come alcune analisi frettolose di queste ore tendono ad
accreditare. Una iniziativa indipendente
del movimento operaio, su un proprio programma di lotta, potrebbe incunearsi in
tutte le contraddizioni di quel 40% e indurle a precipitazione da un versante
di classe. Impedendo oltretutto in prospettiva che possa essere Grillo e il suo
progetto plebiscitario a capitalizzare in prospettiva un possibile logoramento
del renzismo. Le burocrazie sindacali
diranno che la forza del governo è tale che un'opposizione sarebbe velleitaria,
giustificando così la propria resa e nascondendo le proprie responsabilità . I
gruppi dirigenti della sinistre politiche saranno impegnati nelle proprie
alchimie, alla ricerca affannosa della propria sopravvivenza o di una
ricomposizione negoziale col PD. All'opposto, come PCL poniamo e porremo
l'esigenza di un'iniziativa di lotta indipendente del movimento operaio, contro
Renzi (e contro il grillismo), per una soluzione operaia della crisi. Poniamo e
porremo la necessità dell'unità di lotta di tutte le sinistre politiche e
sindacali sul terreno dell'indipendenza di classe. Ma lavorare a questo sbocco non significa
solo impegnarsi nelle lotte e nei movimenti. Non significa solo, com'è
necessario, assumere la classe operaia e le sue lotte come il riferimento
centrale del proprio intervento. Significa anche selezionare, formare,
organizzare la parte più cosciente e coraggiosa della classe operaia e dei
movimenti di lotta attorno a un programma anticapitalista e ad una politica che
gli corrisponda. Una politica che in ogni lotta particolare sappia portare il
senso di un progetto generale di alternativa di potere, di un governo dei
lavoratori, di una Repubblica dei lavoratori. Per questo il bandolo della
matassa resta più che mai la costruzione del partito rivoluzionario. Lo
sviluppo del PCL è l'asse, più che mai, di questa costruzione.
Marco Ferrando
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